Vincitrice premio "Il presepe"-Pesche con "Miriam Maria-Nabi Imram-
Vincitrice premio "Le donne pensano,le donne scrivono"con "Le strade di Amherst"
Vincitrice premio cinque terre "Sirio Guerrieri"con "La venticinquesima ora"
Vincitrice premio Linda Scaburri con "Il clown dagli occhi di pioggia"
Vincitrice premio "Antico Ottorino ed Elisa Benvegnù Ortu” -Pontelongo-con "L'ultima poesia"
Vincitrice premio Hombres con "Il clown dagli occhi di pioggia"
Vincitrice targa TLV primo autore classificato della Toscana con "Le rondini di giugno"
Vincitrice premio Pagine ribelli con "Matilde"
Vincitrice premio Estro-vesro "Elementi di vita" con "L'Etna"
Vincitrice premio "Mario Barale " con Isadora
Vincitrice premio Granducato di Alzano "Parole rubate al pensiero" con "Spartacus"
Vincitrice premio citta' di Iglesias con "Earthquake"
Vincitrice premio "Verdicchio in versi" con "Il tascapane e la bottiglia"
Vincitrice premio "Emozioni sul mare" con "Mare di notte"
Vincitrice premio Caprara-Ala-Avio con "lettera da Aleppo"
Vincitrice premio "Il bottaccio" con "I bambini di San'a"
Vincitrice premio "Streghe e Vampiri" con "La nera signora"
Vincitrice premio "In cammino con Gesu'" con "Ecce Homo"
Vincitrice premio città di Fucecchio per la poesia edita con il libro "Prima che il dolore finisca"
Vincitrice premio Patrizia Brunetti con la silloge "42 LUNE"
Vincitrice premio Orizzonti cultura con "I bimbi di San'a"
Vincitrice premio Arcobaleno della vita sezione silloge con "Solo una rosa"
Seconda classificata-Medaglia d'oro- premio città di Livorno con "L'uomo in fuga"
Seconda classificata premio Napoli cultural classic con "Montedidio"
Seconda classificata premio Naviglio Martesana con "Matilde"
Seconda classificata premio Semaforo rosso con "La venticinquesima ora"
Seconda classificata premio "Giovanni da san Piero"-Agliana-con "Miriam Maria"
Terza classificata premio Liliana Bragaglia Associazione Fabraterni con "Matilde"
Terza classificata premio Angelo Valenti con "Il vagone"
Terza classificata premio "Un racconto per San Marcello"con "Le rondini di giugno"
Terza classificata premio Mellana di Boves con "Mare di notte"
Terza classificata premio I Castagni con "Il riccio di Castagno"
Terza classificata premio Estroverso-Elegie con "Solo una rosa"
Terza classificata concorso "Sabatino Circi" con Earthquake
Terza classificata premio Arcobaleno della vita con "La mia Africa"
Così è la morte
un rapido spostamento sottovento
una calma improvvisa che viene dal nulla
un angelo sporco che distrugge ricordi
il tempo delle fiabe, il racconto di tante vite
così la terra ha tremato,sottovoce a Dio
ha aperto crepe e solchi in un sortilegio di tempesta
mutando i confini, forgiando nuovi dolori
allungando ombre
ha distrutto case di bucanieri avvolte da robinie
campanili che abbracciavano nuvole bionde
cupole d’oro accese dai fantasmi del passato
tutto si è capovolto al sibilo del vento
nell’ammaliante brama del terrore
tutto si è mutato in un grido di pavone
in un cerchio infinito privo d’approdo
il dolore si è avvolto di spine
in sere d’inferno
in questo andare tra il biancospino sfiorito
che chiamiamo vita
questa vita
la beffa più grande.
"Attraverso una narrazione degli eventi funesti originati da un terremoto, il componimento si incentra sul riferimento all'episodio centrale dell'umana esistenza la morte, e si connota con uno sguardo riflessivo curvato sul dolore universale. Tale ineludibile appuntamento assume comunque valori e significati diversi in ciascuno di noi. In questi versi pare prevalere l'idea che esso sia privo di consolazioni trascendenti; tale concezione, che la poetessa ci veicola a mezzo di indubbia energia espressiva,la morte è collocata in una dimensione nella quale essa è soprattutto un mutamento del nostro essere, inteso drammaticamente come distruzione del vissuto individuale, che determina, infine, un discorso lirico, un esito di sconsolatezza schopenhauriana:la vita è"la beffa più grande".
C'è il silenzio del loto
oggi ad Aleppo
i cento silenzi delle campane del tempio
la memoria di ore che sono battaglie, la freccia del tuono,
e d'improvviso la pioggia
Dio è solo neve qui ad Aleppo
i bimbi con le sciarpe di lana sono solo poesia
oggi che il bagliore del sangue si fa strada lungo l'abisso
il volo esita, la vita è meno che un soffio di cenere
così scende la notte nel suono del flauto a sette canne
qui ad Aleppo
ed è così che si muore
con un vestito a due colori, le mani nell'incavo del seno
i piedi nella forra, l'urlo che sobbalza di pietra in pietra
il corpo posato sul rosso della foglia
il piovasco che brilla in mani quiete
raffredda i polsi, bagna il volto affranto
tutto danza di dolore, nel furore delle conchiglie
oltre l'acqua delle steppe,oltre le dune dello sconforto
qui ad Aleppo
e una madre piange in larghi cerchi, gli occhi infelici,
più bella dei suoi anni, dei suoi ieri
nel suo andare grigio.
Arresa alla ginestra.
"Una coraggiosa poesia che evoca la tragedia che sta vivendo il popolo siriano dopo anni di una spietata durissima dittatura. una rivolta in cui ambo le parti rivelano un'incredibile ferocia in cui entrano in gioco anche profonde differenze di valori etnici, culturali e religiosi,che vede coinvolti migliaia e migliaia di cittadini inermi, primi fra tutti i bambini e le donne. L'orrore di una guerra civile è qui rappresentato si con toni anche forti, ma con una delicata risorsa di immagini poeticamente sfumate, come se si volesse attenuare senza però negare la realtà di un dramma purtroppo terribilmente attuale,con noi impotenti a seguirne da lontano gli sviluppi imprevedibili, senza la minima idea di quale possa essere la soluzione finale. Ci vuole senz'altro del coraggio per mettere in poesia ciò che è tutto fuori che poesia, come lo può essere una guerra e senza cadere in una facile quasi scontata retorica, soprattutto quando si parla di bambini, alternando appunto motici pregni di liricità con versi di una cosciente crudezza, ma rinunciando a termini particolarmente duri, aspri. Le immagini sorprendentemente delicate dell'autrice ci danno l'idea di un profondo senso di rispetto verso le creature maggiormente vittime di questa follia umana."
E lo sentiamo il mare in questo esodo crudele
schiumare da mille bocche sommerse
maculato come il manto di un giaguaro, affilato come una scimitarra
radente di antiche condanne
sale furente accanto al golfo di Sirte imbevuto di morte
su gole scompigliate, su braccia che cedono inermi alle tempeste
su quella barca che ondeggia senza più meta
come uno scarabeo morto
e Jamila sogna l’albero di gelso, i capperi fioriti, il fiato del Sahara
lunghe distese di oleandri viola
e Sogna Nazim le vergini del paradiso
donne dai fianchi sinuosi come serpi, licaoni nascosti tra i cespugli,
aquile di cielo
ma il cuore batte nelle ossa, su labbra avide di sale
tutto è ombra
in quella voce del silenzio che urla prima del naufragio.
Vite mai arrivate in nessun porto
laggiù dove un gatto di strada, sporco di pesce
miagola rauco.
Anche lui affamato d’amore.
"Nel periglioso mare di Ulisse, si consuma l'ennesima tragedia di uomini e donne che lasciano la loro terra senza alcuna garanzia di salvezza. Mentre gli occhi dei naufraghi conservano nostalgiche visioni del deserto, le forti similitudini dei versi anticipano la fine dell'imbarcazione fuori rotta., conferendo al componimento un senso di intensa desolazione."
Si sta troppo stretti in cima a Montedidio
qui, nel lastrico più alto
dove una luna rossa fa l’amore con i fili del bucato
con i trucioli biondi delle querce
e piovono baci di tramontana
c'è un'allegria di stenti a Montedidio
un odore di cose sorde, di legno amaro
il cuore che si accosta largo alla sera
guardando punti lontani
i bastimenti scombinati alla marea
i bimbi si allisciano i capelli, hanno occhi larghi
sandali anche d'inverno
nelle loro botteghe ai piani bassi del paradiso
ed il giorno è un morso solo
una mollica di pane, una mela cotogna
toccato lieve dalle carezze asciutte degli spiriti
acceso di tiepida miseria, arrugginito di catrame
stinto di una memoria antica
il vento è guappo, qui a Montedidio
impasta calce e amore in queste notti di poche stelle
lucide di tempesta
e le mani di Dio sono senza voglie
quassù a Montedidio.
"Articolazione suggestiva di uno scenario con il sapiente uso di figure retoriche che traducono momenti di vita colti tra percezioni e sentimento. Le immagini rimandano a connotati storici che il verso sfronda di ogni stereotipo."
(A Federico Garcia Lorca)
Domani sarà il nulla
saranno ore senza luce nell’emisfero del cuore
ci sarà pioggia, forse un sigaro, un frullo d’ali
un respiro e gocce di rugiada agli occhi
tutto si farà nuvola
anche l’ultima poesia d’amore
dolce e lussuriosa come il morso di una mela
libera come un gabbiano sopra la battigia
scorrerà sangue nella terra scura
su una spietata luna che sorride sopra i tetti
lucciole chiare gonfieranno il seno tondo della notte
arcuando un’utopia
entrando in un inverno di ombre lunghe
il peso della colpa cadrà sull’acqua
leggero come una foglia
lieve cenere di sole
germogliando nell’erba matta della sera
in un vortice pallido di luna
ed io coglierò il tempo, una rosa sfiorita
quel fiore di carta dalla stanza sfitta
per cucire l’ultima verso di un piccolo, grande sogno azzurro
a labbra spoglie, il fiato nelle ossa
in un altrove che non sia qui.
"Amara visione di un domani dove tutto appare frantumato.Metafora che tocca il tema della perdita delle illusioni da parte di una umanità muta, la quale null'altro può fare che cercare spiragli in cui credere ancora, a costo di rifugiarsi in un'altra realtà. Stile incisivo, sensuale, senza concessioni al romanticismo, al lezioso.Ottima la scelta dei simboli, che rendono tangibili immagini immerse nel fascino di frammenti perduti.Ritmo coinvolgente, costruzione compatta, acuto senso poetico."
E lo ricordo il nonno, il berretto di lana grezza
Il vento d’erba alle caviglie
quando all’alba partiva col tascapane e la bottiglia
fumando di spalle nelle chimere dell’estate
il carretto che cigolava piano, come cicala appesa all’albero dei ladri
e la ricordo la strada dell’alpe in salita
annodata al filo di una mezzeria
le ore che cadevano come mele rosse dal taschino
il pane fragrante spezzato a mezzogiorno e la bottiglia di buon Chianti
rosso nettare di Dio assaporato tra i soffioni
insieme ai cuculi che cantavano la vita
scendeva piano in gola quel sorso cristallino
voglioso, scompigliato al cuore
sussiego di piuma in onda
zampillo in conio d’opale
profumato di mora e lampone
poi arrivava l’ultima illusione della sera
il ritorno col carico di legna e di fascine a contare gocce di luna tra le viti
l’ultima stilla del suo Chianti , assaporata piano,
era il compenso di un suonatore stanco
in quel porto dell’anima dove niente può morire.
Al buio lucciole danzavano in frenesia sopra il rosmarino.
L’ultima stilla era la favola più bella.
"Il tema del ricordo,di un vissuto personale, unito all'affetto per il nonno, sono stati occasione di riflessione per l'autrice che ci ha riportato indietro nel tempo quando le ore erano distese e all'alba si partiva a piedi con il tascapane e la bottiglia, le sole due cose necessarie alla sopravvivenza. Con una scrittura chiara, ricca, evocativa e moderna, l'autrice ci guida nella quotidianità di un viaggio attraverso il suo territorio, in quella strada annodata al filo di una mezzeria dove ogni particolare-le mele rosse, il pane buono, il verdicchio-diventano elemento di vita e di gioia-L'utilizzo attento di metafore, l'accuratezza della parola, la forma ed il ritmo, donano al testo l'armoni ae la leggerezza della poesia della vita e per la vita".
Ombre nel vagone gravido di urla
grottesche,stralunate
accatastate sulle assi immonde,sulla paglia torbida di sangue
l’ebbrezza della morte così dolce, così palpabile
tutto scorre
la boria e l’incoscienza del dolore
l’asfissia e il livore della vita
siamo ombre, con gomiti di altre ombre sulle costole
le ossa compresse sopra il cuore
la forza asciutta come un coccio rotto
quando scende il silenzio,all’improvviso, piombo sulle spalle,
nella carovana senza sole
lenta sotto le ciglia della notte
quando tremiamo di paura nei venti vagoni in fila indiana
senza alcuna indulgenza, alcun decoro
solo le voci dei carnefici si alzano alla luna
le loro risate oscene che coprono l’orrore delle nostre labbra esangui,
delle schiene curve, del fiato corto
siamo ombre senza più alcuna dignità
fantasmi all’alba di Dachau
mille corpi che ne formano uno solo
stanchi spettri in uno scempio impalpabile di sogno
e solo la neve che scende intorno
lieve.
"Il tema tragico della deportazione nazista si trasfigura in una sintesi poetica in cui le immagini oniriche-il vagone gravido di urla-gli-stanchi spettri in uno scempio impalpabile di sogno-diventano denuncia implacabile dell'annullamento di ogni umanità."
"La visione di un mondo che ha tanfo di morte e l'angoscia come unica compagna, sembrano essere i protagonisti di questa pagina sul tema tragico dell'olocausto. A condurci in questa dimensione, con immagini che hanno evidenza filmica, è la sensibilità della poetessa che si muove sul piano della realtà e su quello, più efficace, perchè irreale, della fantasia, del desiderio di vita e libertà. Ed è proprio questo, alla fine, a prevalere, in un anelito di religiosa e convinta appropiazione della propria condizione, in una salvifuca consegna al proprio destino."
È terra di latte e miele San’a, sospesa in dorate illusioni
abbracciata dal grido stridulo del falco
bella e crudele d’azzurro, colma di melograni rossi, di rose profumate d’oriente
di bimbi snelli come sciacalli,
la pelle color cannella, il naso camuso, le labbra sottili dalla curva sprezzante
hanno il volto acceso, perso nel tempo della supplica i bimbi di San’a
figli di antiche carovane, figli di sabbie chiare
il kalashnikov al collo, i dadi truccati alla cintura
camminano già grandi, crepati dal calore del sole
solcando rughe con sciabole luccicanti
i pugnali d’argento rannicchiati in un angolo del cuore
stanno appoggiati al blu cupo della notte i bimbi di San’a
piccoli agnelli divenuti lupi
i capelli spettinati, le spalle avvezze alle intemperie
consumati dalla polvere del tempo
mai stati bimbi, nati già uomini
le grida in falsetto del muezzin che chiama alla preghiera
e solo il rosmarino nell’orto
e mine sepolte tra l’oleandro e il grano.
Muoiono così, senza luna, senza sogni, senza stelle sul soffitto della stanza
senza nessuna amore stretto in mano, consumati dalle onde
funamboli incorniciati da ali di gabbiani
i bimbi snelli come sciacalli di San’a.
"Con felice scelta prosodica e un'accurata costruzione di immagini, la poesia ci porta in una terra lontana, consegnandoci alla bellezza e alla crudeltà della sua storia e del suo presente. Della vita dei bambini protagonisti, che “camminano già grandi” e che sono “piccoli agnelli divenuti lupi”, viene messa in risalto tutta la drammatica condizione di violenza in cui sono costretti. A tale condizione fa da contraltare il magico paesaggio naturale. Il contrasto condensato tra la bellezza del paesaggio e la dolorosa esistenza infantile è condensata nei versi “solo il rosmarino nell'orto / e mine sepolte tra l'oleandro e il grano”.
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